(no) XE FINIA

Al terzo anno di liceo il mio professore di lettere, in modo un po’ ossessivo, seguitava a chiedere durante le interrogazioni sulla Divina Commedia l’ordinamento morale dell’Inferno. L’espressione, entrataci in testa a suon di 4 e mezzo sul registro, definiva l’insieme di princìpi etico-morali di stampo nicomacheo tramite cui il sommo poeta aveva ‘costruito’ il sistema dei gironi infernali, nel quale i peccatori si ritrovavano tanto più sprofondati verso il centro della terra quanto più grave veniva ritenuta la loro mancanza verso Dio. E infatti Dante Alighieri – mica il vostro Leprecauno – intendeva con la Commedia portare a compimento un’opera didascalica, un manifesto di buone pratiche di vita terrena che rispecchiasse le virtù dell’epoca, tale che chiunque volesse affacciarsi alla società potesse capire come farlo e quali rischi si celassero dietro eventuali comportamenti sbagliati.

Ecco che, quando l’altro giorno ho letto l’articolo di apertura del TdS scritto dall’illustre collega d’oltreoceano Peter Vecsey, mi è parso che dipingesse la nostra amata manifestazione allo stesso modo: un luogo d’insegnamento e di palestra, da cui far passare il figlioletto per capire cosa è giusto e cosa no del mondo dello sport – e perché no? della vita – accelerando un procedimento di assimilazione altrimenti ben più lungo.

La cosa mi ha fatto sorridere ma anche riflettere: vuoi che i due anni di stop ci abbiano fatto dimenticare fin dove possa arrivare il TdS? Non è che nel tempo ci siamo assuefatti e non cogliamo più tutto quello che questi 7 giorni rappresentano al di là del rettangolo di gioco? Allora mi sono concentrato, ho studiato, ho osservato.

Ho visto la truppa di atleti esordienti scoprire che il TdS non era una campettata un po’ più seria, ma un vortice di entusiasmo capace anche di lenire le ferite della sconfitta, lanciandosi a capofitto sul BarSao.

Ho visto studenti e lavoratori fuori sede coronare il sogno di indossare questa divisa, perché una convocazione al Torneo varrà più di un certificato di residenza quando, guardandosi indietro tra tanti anni, si chiederanno se Venezia sia stata veramente accogliente e se si possano definire veneziani al di là del luogo di nascita.

Ho visto un’intera tribuna in religioso silenzio ad ascoltare un arbitro – un arbitro! – raccontare cosa significhi quel mestiere al livello più alto, a dimostrazione del fatto che anche il più indisciplinato dei giocatori sappia riconoscere la grandezza comunque essa si manifesti, pur se vestita di grigio.

Ho visto l’entusiasmo dei giocatori scartati dal proprio sestiere e draftati da un altro, visto che in fondo, più di ogni campanilismo, conta mettere il piede in campo.

Ho visto atleti veterani, per i quali i tre anni di stop si sono fatti sentire tutti ma proprio tutti, accettare più serenamente di un tempo un cambio perché non c’è occasione migliore del TdS per essere ‘superati’ da un compagno con la stessa divisa e lo stesso codice di avviamento postale.

Ho visto protagonisti del passato – Guerrasio, Giangaspero – guardare con un misto di orgoglio e invidia i propri figli ai primi passi sul Pattinodromo, e altri – Muner, Sartor – scalpitare nell’attesa che i loro possano esordire a breve.

Ho visto qualcuno commuoversi, perché il Torneo è stato casa per tanti amici che non ci sono più: cerchiamo sempre di ricordarli tutti al meglio, ci scuserete se talvolta dimentichiamo qualcuno.

Ho visto un ottimo giovane fare una telecronaca dando respiro a Marco Seno, a dimostrazione del fatto che il TdS può essere anche culla di sogni para-cestistici e – perché no? – magari l’inizio di una carriera professionale.

Ho visto mestrini venire e ritornare una seconda sera, perché il basket, i gadgets, le birre, lo speaker, la musica e i premi tutto insieme non si trovano mica dappertutto nel cuore dell’estate.

Ho visto soprattutto la soddisfazione sui volti dei membri del Comitato: anche loro, pur se non lo ammetteranno mai, non erano certi di riuscirci quest’anno. La pandemia ha provato tutti e rallentato persino una macchina quasi perfetta come la nostra, che ha avuto bisogno dell’entusiasmo e dell’energia di nuovi innesti, oltre che degli ottimi addetti al bar, per mettere in piedi quello che, a tutti gli effetti, è un ‘main event’ dell’estate lagunare.

Mi fermo, perché l’elencazione estrema risulterebbe tautologica. Però, se ripenso a Peter Vecsey che si figurava il TdS come ‘école de vie’ sui generis, forse non aveva così torto e ha fatto bene a portarci il pargolo, così come i tantissimi genitori che fanno fare le ore piccole al Pattinodromo a bambini che per il resto dell’anno crollano alle 20.30.

L’ordinamento morale del Torneo è un insieme di agonismo, lealtà, rivalità, fedeltà e tanti altri nobili valori. Però, a differenza dei complessi gironi danteschi, è facilmente riassumibile in un concetto di fondo: più si partecipa più si è parte della manifestazione. Non serve giocare, a quello ci pensano i 72 migliori della pista, serve esserci.

Per noi ciò che conta davvero è che sia riemersa prepotente la consapevolezza che una città come Venezia, con tutte le sue magagne, non possa assolutamente fare a meno di questo barlume di autenticità che consumiamo gelosamente a mezza estate, come un sogno shakespeariano accompagnato dai tramonti sull’isola del Lazzaretto.

Mai come quest’anno la risposta è stata maiuscola almeno alla pari dell’organizzazione, dimostratasi un orologio svizzero anche a fronte delle canoniche difficoltà dovute alla serata di pioggia. Il vostro scriba posa la penna nell’attesa di schiudere nuovamente l’astuccio a luglio 2023: voi nel frattempo non nascondetevi e dichiaratevi se pensate di avere idee, energie e risorse per una manifestazione che non si è mai guardata indietro da quando è nata, per non rischiare mai la tentazione di tirare il freno.

Perché, nonostante si tratti di un leitmotiv oramai storico, possiamo assicuravi che NO XE FINÌA.

The Leprechaun

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